La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 9 marzo 2015 n. 4656, ha ribadito l’inderogabilità della norma contenuta nell’art. 32 della L. 392/1978, che così dispone: “Le variazioni in aumento del canone, per i contratti stipulati per la durata non superiore a quella di cui all’art. 27 (6 anni, n.d.r.), non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati”.
Il dubbio interpretativo era nato dalla facoltà concessa da buona parte della giurisprudenza di prevedere, al momento della conclusione del contratto, la determinazione del canone in misura crescente in relazione ad eventi oggettivi predeterminati.
Ciò che la Cassazione ha (sostanzialmente) confermato è che questa libertà d’azione concessa ai contraenti non può essere utilizzata per neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, contravvenendo così al divieto legale di cui all’art. 32 predetto.